IL RITORNO DELLO STEMMA SUL BALUARDO
Provenendo dalla Cassia, ed imboccata la nostra salita della porta, così come la chiamavamo, sulla sinistra, giunti in prossimità del sito in cui sorgeva Porta Romana, possiamo ammirare le imponenti mura difensive che costituiscono il Baluardum Cassari, sulla cui sommità svetta un altro stemma del nostro Saturno a cavallo. La sua assenza, nella precedente raccolta dedicata agli stemmi scolpiti, non è stata una scelta, in quanto, per poterlo fotografare, ho dovuto attendere che si provvedesse a renderlo visibile, essendo rimasto, per lunghi anni, completamente ricoperto dalla vegetazione. Sapevo che prima o poi sarebbe tornato a farci sognare...Così è stato, grazie ad un provvidenziale piccolo intervento di ripulitura disposto dal Comune, nel marzo del 2024. La pietra arenaria su cui è stato scolpito, molto probabilmente proviene dalla antica cava sita in località Rotara, non lontano dalla zona residenziale di Fonte Vivola. Questa pietra porosa, detta anche serena, priva di trattamenti protettivi, ha sofferto l'erosione degli agenti atmosferici, sgretolandosi in superficie, e perdendo alcuni frammenti. Ma, nonostante lo stato di degrado, e la mancanza di contorni ben definiti, si percepisce ancora la classica icona del nostro Saturno a cavallo, con il suo fascino rimasto immutato. Ancora incerta la sua origine: è poco probabile che possa provenire da Porta Furia o Porta S. Giorgio, in quanto, in vecchie foto, in cui lo stemma appare pressochè intero, si percepisce l'esistenza di una parte superiore sicuramente turrita, tipica dell'epoca comunale. Nulla ha a che vedere con quello descritto dal Dennis, il quale fa riferimento ad uno stemma, posto sulla allora esistente Porta Romana e, per di più, nella sua ouvrage monumental, egli asserisce che trattavasi di uno stemma dipinto, quindi non scolpito. Peraltro, ammirando le antiche vedute panoramiche, lasciateci dai viaggiatori del Grand tour, prima dell'avvento della fotografia, riportate nel video, si può riscontrare che mancano dettagli che ci consentano una visione chiara di questo stemma. Come pure, sullo sfondo panoramico di alcune rappresentazioni pittoriche a carattere religioso (affreschi e stendardi), in cui figurano scorci del nostro paese, mancano dettagli che consentano di individuarlo nei particolari, oppure non appare affatto, forse perchè gli autori di tali dipinti hanno dedicato allo sfondo solo poche e veloci pennellate, soffermandosi, naturalmente sui soggetti principali delle loro opere. Fra le raffigurazioni pittoriche, prese in esame nel video, merita un particolare cenno soprattutto lo scorcio panoramico visto dall'ingresso di Porta Romana, visibile in un affresco del Fontana, posto nella volta della cattedrale, peraltro, ancora ignorato anche dagli studiosi che recentemente hanno trattato tali periodi storici. Intanto, rallegriamoci, potendo tornare ad ammirare ciò che rimane di questo splendido esemplare della nostra araldica comunale, posto sul predetto baluardum cassari
RIMEMBRANZE DI UNA PORTA ABBATTUTA (Il demone della nostalgia e del rimpianto colpisce ancora, in attesa di un sussulto)
Nello stesso video, dopo aver preso in esame lo stemma posto sul predetto baluardo, si tenta anche di far rivivere il ricordo e il fascino della non più esistente Porta Romana, la cui poco comprensibile demolizione ha suscitato dubbi e sgomento. Fu un atto da considerare assurdo ed irragionevole? Fu un vero ed aberrante sfregio e scempio compiuto da insensibili?...Ai posteri l'ardua sentenza!. Ma, noi che, allibiti ed attoniti, ne conserviamo la memoria storica, dopo oltre 60 anni, possiamo essere considerati tali? Forse non c'è stata la relativa presa d'atto, e la conseguente indignata reazione, poichè, probabilmente, fu la nostra distaccata e distratta quotidianità a prevalere. Oppure, fu per distrazione, per quieto vivere, per noia, per disinteresse, per stanchezza, per insensibilità, o, per assuefazione?... fummo irrimediabilmente indifferenti?... ma, sempre e comunque responsabili, quando non addirittura immorali, come direbbe in tali circostanze, l'antropologo Umberto Galimberti... Troppi interrogativi... L'unica cosa certa è che si tratta di una vicenda non poco intricata. Abbiamo a che fare con una storia i cui connotati non sono così monolitici. Per muoversi nei meandri di questo intreccio bisognerebbe essere uno studioso o un critico, ma io mi accontenterei di farlo con il passo leggero di un narratore di comunità, sulla base di ciò che ricordo e del riscontro degli scarni atti di cui disponiamo. Anche se la nostra è una comunità un pò strana, a volte, anche impenetrabile. Erano altri tempi, in cui una minaccia di crollo, e forse, le mal celate esigenze di una sempre pià incalzante moderna viabilità potevano avere il sopravvento sull'amore per le vestigia del nostro passato (la porta era stata eretta nel 1643). Nessuno può negare che il monumento mostrava chiari segni di degrado, con minaccia di crollo. Non poche sono le foto che mostrano sulle arcate traccia di innumerevoli urti provocati da mezzi pesanti. Ma veniamo in primis all'analisi dei relativi atti disposti dal Comune, che sembra aver agito in piena autonomia, con ordinanze del sindaco, senza alcuna autorizzazione da parte degli enti preposti alla tutela di tali beni. Grazie alle indicazioni di Vincenzo Petroni ed alla collaborazione di Francesco Guadagnini, riesco a rivedere e toccare con mano lo storico registro delle Ordinanze Comunali, ancora custodito presso la sede della Polizia Urbana, da sempre depositaria di tali atti. Due sono le ordinanze relative all'abbattimento, facilmente individuate, in quanto specificatamente citate in un elaborato di Luigi Zuchi. Nelle premesse della prima ordinanza: la n. 32 del 7/3/1963, si fa riferimento alla relazione del geom. Pietro Cipolletti, in cui viene segnalato lo stato di grave pericolosità di tutte le strutture murarie del manufatto denominato Porta Romana. A cui fa seguito la constatazione che da più giorni parte delle murature (non meglio specificate) sono crollate senza danni. Viene in questo contesto evidenziata una ulteriore causa di forza maggiore determinata da altri lavori in corso che non rendono possibile procedere all'interruzione del transito sulla via 24 maggio che costituisce l'accesso principale al centro urbano. Con questa dichiarazione forse si intendeva evidenziare che un eventuale intervento di recupero della statica del monumento avrebbe comportato una lunga chiusura del traffico, proprio nel momento in cui altri lavori in corso provocavano la concomitante chiusura dell'altro accesso al centro Storico. Segue, quindi, nel dispositivo dell'ordinanza, la conseguente dichiarazione di stato di pericolo imminente e l'ordine di demolizione. Dopo quasi un anno e mezzo compare la seconda ordinanza, la n. 37 del 3/8/1964, un po' più prodiga di informazioni: in essa riconosco la calligrafia e lo stile conciso e lineare di Lorenzo Cruciani, ove si precisa, nella parte storica, che la pronta demolizione venne eseguita con la eliminazione della volta che presentava pericoli di crollo. Proseguendo nella lettura, si afferma che i muri laterali residui del manufatto in seguito alle condizioni meteoriche rivelano un processo di continuo sfaldamento, rappresentando grave pericolo per il transito e quindi per la pubblica incolumità. Ma, prima di arrivare al dispositivo recante la inevitabile totale demolizione dei residui del manufatto, compare una affermazione che ignoravo: laddove si richiama il parere espresso dall'arch. Baldacchini, vi si legge che al medesimo sarà affidato il progetto per la ricostruzione del manufatto. Di tale progetto non ho mai sentito parlare, cercherò di approfondire. Al riguardo, per concludere l'analisi, potrebbe essere il caso di ricordare che un'ordinanza d'urgenza (atto monocratico del sindaco) per essere considerata legittima deve avere come presupposto basilare il carattere straordinario per la tutela della sicurezza pubblica. Nel caso specifico, doveva sussistere l'urgenza di porre un immediato riparo, per evitare gli effetti di un pericolo incombente di crollo del monumento. Ma, al di là della validità delle motivazioni e dell'opportunità di quanto disposto da tali atti, forse qualcuno potrebbe obiettare che con adeguati interventi avremmo potuto conservare il monumento nella sua integrità. Ma, ci sono altri aspetti di cui tanto ancora si parla, sui quali vorrei intervenire. Si tratta di mie valutazioni e miei ricordi appartenenti al vox populi. Man mano che la circolazione stradale si faceva sempre più intensa, questa porta urbica veniva percepita come causa di rallentamento, ostacolo e pericolo. Bisogna ammettere, obiettivamante, che l'Amministrazione di allora si trovò a dover affrontare una serie di problemi scottanti, la cui soluzione poteva, comunque, essere meno drastica. Quali problemi?...provo a descrivere quelli che ricordo meglio: il suo attraversamento comportava rischi non solo per la contenuta ampiezza dell'unico fornice disponibile, che rendeva già pericoloso il solo contemporaneo passaggio di un veicolo e di un pedone. Ma, soprattutto perchè l'arco non era in asse con la direzione di entrata ed uscita. Il suo attraversamento nascondeva un'insidia a causa della scarsissima visibiltà nei due sensi di marcia, in quanto, consentiva di percepire il veicolo sopraggiungente in senso inverso, solo all'ultimo istante. Del resto, non dovremmo meravigliarci di tali inconvenienti, insorti con l'avvento dei moderni mezzi di trasporto, in quanto, la collocazione e l'angolazione dell'originario varco si presume siano state concepite e realizzate per ostacolare lo sfondamento della porta durante l'assedio di nemici. Difficilmente un ariete avrebbe mai potuto abbatterla, non potendo godere di una adeguata rincorsa, stante la pendenza e la contorta conformazione della sua via di accesso. La frequenza di incidenti andava aumentando, man mano che cresceva il nostro parco circolante. Non posso dimenticare la ciocca di capelli rimasta sull'arcata, a seguito di un grave incidente occorso, in moto, al mio caro amico Alfredo C.. E, come non bastasse, per gli autobus di linea, si faceva sempre più impegnativo l'accesso alla Piazza del Comune, a cui i pullman in transito davano sempre un certo tono, seppur tra mille difficoltà per il compimento delle manovre intorno alla fontana, sempre ostacolate dalle auto in sosta. Era ancora impensabile l'idea dell'isola pedonale in Piazza del Comune, quale primo passo, per poi estenderla a tutto il Centro Storico, attraverso la previa realizzazione di un moderno parcheggio sotto Piazza Pisanelli, con relativo impianto di risalita, dirottando il traffico di accesso mediante un collegamento a semianello. Nel 1964, quando la porta venne demolita, non avevo ancora la patente di guida, conseguita solo l'anno successivo, ma ricordo, in modo indelebile, le senzazioni che provavo nell'attraversarla, sia a piedi o a bordo di una vettura, in bici o in moto. Da bambino, seduto sul sedile anteriore della Jeep Willys di mio padre, percorrendo la discesa in uscita, giunti in prossimità dell'arco, dovendo prudentemente segnalare la nostra presenza, avevo il precipuo e gradito compito di azionare il clacson, il cui pulsante, non si trovava sul volante, ma, sulla plancia. Questa precauzione (d'altri tempi) per quanto semplice, richiedeva una certa precisione per cogliere l'istante giusto affinchè l'eventuale veicolo sopraggiungente, sentisse al momento opportuno il segnale acustico, e adeguasse la propria andatura. Occorre ricordare, al riguardo, che trattavasi di una strettoia cieca, a doppio senso di marcia, priva, tra l'altro, di un segnale che stabilisse la precedenza. L'andatura dei veicoli in transito, di solito, era sempre abbastanza sostenuta, dato che chi scendeva sfruttava il dislivello, e, chi saliva, cercava di prendere una adeguta rincorsa per affrontare la lunga salita. Con il suo abbattimento sono scomparse irripetibili sensazioni, che, per quanto banali, hanno arricchito la mia infanzia, e quella dei miei coetanei, ai quali dedico il seguente zibaldone di ricordi. Uscire dalla porta, soprattutto in bicicletta, suscitava una duplice emozione, la prima, legata all'attraversamento dell'insigne monumento, simbolo della nostra comunità. La seconda era una sorta di piacevole riflesso condizionato che subentrava nello stesso istante in cui si varcava l'arco. Bastava, infatti, semplicemente piegare il manubrio a destra, allentando i freni, e, senza alcuna fatica, si lasciava il paese alle spalle. Ma non era tutto: va aggiunta l'immediata ebbrezza della velocità che ne rafforzava il senso di eterea evasione, complice il notevole dislivello che ti faceva volare fino all'incrocio con la Cassia, dove era necessario inchiodare allo stop. Al rientro, poi, sempre in bici, man mano che ansimando, mi avvicinavo alla porta, cercando di prendere una buona rincorsa per affrontare la salita, pregavo che non scendesse un altro veicolo, in senso inverso, perchè, in tal caso, avrei dovuto fermarmi in surplace, e, lasciarlo passare, per poi riprendere di scatto a pedalare, dando una spinta fulminea e possente, con tutto il peso del corpo, che, a volte, provocava la rottura della catena.Tutto questo accadeva perchè, come tutti i miei coetanei, non intendevo scendere dalla bici e varcare l'arco a piedi, come faceva la maggior parte dei ciclisti: entrare in paese conducendo la bici per mano era da me considerato degradante, mentre, rimanere in sella, seppur con estrema fatica, invece, era doppiamente appagante, in quanto, alla soddisfazione di continuare a sentire la canna della bici tra le gambe, quale prova di vigore, si aggiungeva anche la gioia di ritrovarsi nuovamente a casa, assaporando quel senso di appartenenza alla mia comunità che era sempre lì pronta ad accogliermi entro le vecchie mura di una volta.
RINGRAZIAMENTI: Naturalmente, oltre all'impiego del mio archivio, ho attinto ad altre fonti di informazioni storiche, avvalendomi delle ricerche d'archivio di Luigi Zuchi, degli articoli di Francesco Casini e di alcune immagini raccolte da Lillo Sorbelli, oltre agli immancabili documentari d'epoca della RAI, sponsorizzati e raccolti dall'impareggiabile amico Dino Martini. Ai quali va tutta la mia riconoscenza.